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  • Pestapere

Obiettivo: Cittadinanza Digitale.

Aggiornamento: 21 mag 2023



Il superamento del Digital Divide è soltanto il primo step per il raggiungimento della Cittadinanza Digitale.



Il concetto di Digital Divide si rivela un concetto multistrato: a un primo livello fa riferimento, alla scarsità di copertura Internet che, in Italia, riguarda poco meno del 30% del territorio.


Il tema della carenza di connessione, effettivamente sussistente, rischia, tuttavia, di scotomizzare un altro aspetto del Divide: la carenza di conoscenze, abilità e competenze idonee all’uso efficace ed efficiente delle tecnologie digitali.


In altre parole, se anche tutti fossimo validamente collegati al web, il tema del Digital Divide non potrebbe dirsi esaurito.


Il PNRR prende finalmente atto che il problema dell’accesso alla Rete e alle tecnologie digitali va oltre quello della connessione e, “con uno stanziamento di 250 milioni di euro del Fondo Repubblica Digitale … mette… “in campo iniziative di formazione digitale” con “l’obiettivo … di raggiungere il target previsto dall’Europa, con il 70% di cittadini digitalmente abili entro il 2026”[i].


L’obiettivo, per essere raggiunto comporta la necessità di una approfondita attività formativa rivolta, in particolare, agli strati più deboli e meno scolarizzati della popolazione.


Con l’affermazione della necessità di una formazione diffusa, cade anche la credenza consolidata che i giovani siano comunque sufficientemente preparati all’incontro con le problematiche digitali e del web: anche tra le nuove generazioni, infatti, si fa un uso quasi sempre elementare dei vari device e non si va oltre quello che possono offrire facilmente le App o le piattaforme social più frequentate.


Le statistiche di accesso ci dicono anche che larghi strati della popolazione, non solo giovanile, si affacciano sul web unicamente perché attirati dal linguaggio più praticato internazionalmente che è quello della pornografia.


Il ricorso ancora carente alle potenzialità del digitale e del web, è da attribuire anche a una insufficiente “spinta” da parte delle Istituzioni.


Raramente il Settore Pubblico, per ritardi tecnico organizzativi, ma anche culturali, offre in rete i servizi avanzati che pure il web potrebbe supportare ma che, a loro volta, postulano un retroterra ben preparato, organizzato e digitalmente orientato.


Se poi, dalla Pubblica Amministrazione, spostassimo lo sguardo alle aziende e alle organizzazioni no profit, sarebbe facile avvedersi che, in molti casi, vengono prodotte delle presenze web disordinate, non coerenti, non aggiornate e, soprattutto, dai contenuti estremamente poveri: semplici e banali informazioni, sul tipo di quelle che sarebbe possibile trovare facilmente sugli abituali supporti cartacei.


Utilizzando una metafora abitualmente riferita agli ospedali e alle prigioni, potremmo dire che anche le pagine web sono lo specchio delle strutture sociali che le esprimono.


Il cammino per il radicamento della padronanza tecnico-digitale è, dunque, ancora lungo: se, per ipotesi, dessimo per conquistato anche l’obiettivo della implementazione delle competenze a tutti i livelli, ci accorgeremmo, infatti, di aver creato “soltanto” dei buoni dispensatori o utilizzatori di servizi digitali.


A questo stadio, i molti cittadini, finalmente connessi e con le adeguate competenze tecniche, non potrebbero essere ancora considerati Cittadini Digitali a pieno titolo anche perché le problematiche della rete si sono sommate, negli ultimi anni, a quelle di una Intelligenza Artificiale sempre più invasiva.


Per il conseguimento della Cittadinanza Digitale, che va oltre il Digital Divide, occorre che prenda vita un’attività culturale di largo respiro che renda consapevoli di tutte le implicazioni, positive e negative, che comporta lo scenario digitale e che ci ponga in grado di vagliare diverse opzioni e adottare le deliberazioni più opportune.


Fino ad oggi, sono venuti all’attenzione e, in parte, risolti problemi quali quelli del diritto alla disconnessione, del diritto all’oblio; temi, come la Privacy, i diritti dei consumatori, hanno una regolazione iniziale e in parte inadeguata; altri temi, come il diritto d’autore, sono nel limbo da tempo.


Un problema rilevante, di cui resta ancora da prendere pienamente coscienza, è quello della mancata trasparenza della rete e di gran parte delle tecnologie digitali: non tanto e non solo rispetto al funzionamento degli algoritmi, quanto alla fase del preprocessing dei dati in cui si condiziona il corso degli stessi algoritmi.


La trasparenza è poi imprescindibile per il governo, l’impostazione e la risoluzione dei problemi etici.


Tralascio i temi, diventati ormai classici, collegati all’uso delle armi senza l’intervento umano e quelli nascenti dalle scelte da pre impostare nella guida autonoma di veicoli, ma non posso non segnalare il tema della libertà di espressione che, evidentemente, non può risolversi nella libertà data a tutti di scrivere tutto.


Già oggi, d’altra parte, quando scriviamo “ciò che vogliamo”, la nostra libertà è minata in radice in quanto la rete, sulla base di una nostra profilazione e del nostro Rating, decide a chi e quanti mettere a parte delle nostre parole utilizzando associazioni e censure a volte condivisibili, a volte stupefacenti, ma sempre immotivate, imperscrutabili e, talvolta, non rispondenti ai dettami della cultura europea.


Il potere suggestivo e manipolativo delle tecnologie digitali e della rete è diventato tale che, sempre più frequentemente, accade che mutazioni eterodirette ci appaiano come auto dirette[ii]e che algide Community tolgano spazio alle nostre calde Comunità di riferimento.


Anche per quanto riguarda le questioni di genere, è stato segnalato e portato ad esempio[iii] l’effetto distorcente dei Bias con un caso lampante: nel traduttore di Google da italiano a turco, l’espressione “Lui è un dottore, lui è un infermiere”, diventa, da turco a italiano, “lui è un medico Lei è un’infermiera”.


I Cittadini Digitali, se vogliono essere all’altezza dell’appellativo, non possono quindi rassegnarsi al governo della rete affidato, nella migliore delle ipotesi, a quel Gruppo di potere diventato famoso con l’acronimo GAFAM[iv] (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft).


Tutti dobbiamo percepire l’importanza che i temi della libertà di espressione e della nostra stessa libertà siano regolati: tutti dobbiamo avvertire l’urgenza che le nostre vite siano messe al riparo da Sistemi di Intelligenza Artificiale troppo intrusivi.


Se non vogliamo rinunciare alla nostra libera autodeterminazione, la redazione di norme regolative non può più essere lasciata a organismi sfuggenti e ubiquitari o alle determinazioni algoritmiche che tengano conto del solo binomio tecnologia-profitto


Con questa premessa, è evidente che la maturazione culturale deve essere accompagnata dal sostegno regolamentare che sta prendendo le mosse a livello europeo: una regolamentazione affidata a organismi che, almeno indirettamente, attingono il loro potere da un processo democratico e agiscono nella trasparenza.


La distanza dal conseguimento di una cittadinanza digitale diffusa è misurata dalla ristrettezza del dibattito che accompagna la gestazione di questa importante iniziativa europea e testimonia di una attenzione inferiore a quella prestata a suo tempo alla normativa sulla Privacy.


Eppure, la Proposta di Regolamento sull’Intelligenza Artificiale, pubblicata dalla Commissione Europea il 21 aprile 2021[v], riguarda argomenti la cui menzione, da sola, basta a sottolinearne l’importanza: Identificazione Biometrica, Accesso ai Servizi Pubblici, Gestione dell’Attività Lavorativa in molteplici aspetti, Gestione delle Migrazioni e della Giustizia …


Mentre, faticosamente, la Commissione Europea sta innalzando le prime “difese digitali”, è annunciato, d’altra parte, il prossimo esordio di piattaforme di nuova generazione che integreranno attività ludiche, sociali, di acquisto, di dating, di messaggistica, bancarie e di ricerca di occupazione, finora suddivise tra le applicazioni che tutti conosciamo.


Sono evidenti i rischi che, in assenza di una legislazione adeguata, una tale integrazione sinergica comporterebbe in termini di una profilazione - tomografia della nostra vita, utilizzabile per fini che ignoriamo.


Il rischio di un autoritarismo digitale non è più una remota fantasia[vi]; in una situazione in cui financo gli stessi Stati nazionali sono costretti a scendere a patti con i giganti della rete.


In questo contesto, la normativa europea in preparazione dovrà contare, in fase di applicazione, sulla consapevolezza diffusa dei “rischi digitali” che, a propria volta, dovrà nascere da una cultura diventata senso comune e tornata a indirizzare le tecnologie in senso umanistico.


Se queste condizioni si avvereranno, potremo sperare in un passo successivo: la costituzione, in un futuro prossimo, di un organismo europeo destinato a regolare specificamente i social esistenti che, a nostra insaputa (!), sono ormai diventati una infrastruttura sociale[vii] irrinunciabile.


Prendendo spunto da Benjamin[viii], quando scrive che neppure il robot della rivoluzione bolscevica avrebbe vinto in Russia se non avesse avuto dentro il nano della teologia, dobbiamo anche noi augurarci che il nano della cultura prenda il comando della Società Digitale.


[i] Sito del Ministero per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale. [ii]Carlo Carboni, Magia Nera, Luiss, Roma 2020. [iii]Francesca Rossi, Confini del Futuro, Feltrinelli, Milano 2019. [iv] Jaques Attali, Disinformati, Ponte alle Grazie, Milano 2022 [v] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52021PC0206&from=IT [vi]Nicolas Agar, Non essere una macchina, Luiss, Roma 2020 [vii] Stefano Quintarelli, Capitalismo Immateriale, Luiss, Roma 2020 [viii] W. Benjamin, Tesi di filosofia della storia, Mimesis, Milano 2012.

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